sabato 29 ottobre 2011

ATTACCO ALL’ARTICOLO 18

Ormai da tempo e da più parti c’è il tentativo della classe imprenditoriale e politica, oltre che del centrodestra, anche dei liberisti del centrosinistra, per togliere di mezzo l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (vedi appendice 1).

Da ricordare il tentativo fatto a inizio legislatura 2001/2006 dal governo Berlusconi, tentativo fallito per le forti resistenze opposte dai sindacati e dalla piazza.

Il successivo tentativo fu fatto dal Partito Radicale, che raccolse le firme per indire un referendum abrogativo a riguardo tenutosi nel 2003 e non andato in porto, anche per il mancato raggiungimento del quorum.

L’articolo 8 (vedi appendice 2) inserito dal governo Berlusconi nella manovra economica di quest’anno, è invece il tentativo, andato a segno, di poter aggirare l’articolo 18, in certe circostanze, senza la necessità di abolirlo.

Ma il colpo finale all’articolo 18 ci sarebbe se quanto scritto nella lettera consegnata di recente da Berlusconi alla Unione Europea dovesse diventare legge. In tal caso si entrerebbe in un regime del tipo anglosassone, nel quale sarà possibile licenziare un dipendente senza particolari complicazioni, nel caso le esigenze economiche dell’impresa in cui lavora lo richiedano.

Nella lettera si promette di realizzare questa riforma entro il maggio del 2012.

Nel documento, oltre che dei licenziamenti nel settore privato si parla di interventi pesanti anche nel pubblico impiego, dove l’obiettivo dichiarato è quello di rendere più flessibile, più efficiente e meno costosa la pubblica amministrazione.

Nel settore privato, il messaggio che che si vuol fare passare è che il superamento dell’articolo 18, invoglierebbe molte piccole imprese con meno di 15 dipendenti ad ingrandirsi, e in generale favorirebbe la regolare assunzione dei giovani, non essendoci più lo spauracchio della difficoltà a licenziare,. C’è poi un termine che viene usato che trovo curioso: “Modernizzazione del mondo del lavoro”.

I sostenitori di questa filosofia sottolineano come in Inghilterra, dove il cosiddetto lavoro fisso non esiste più dopo la cura dei governi della conservatrice Margaret Thatchr, avallata successivamente dai governi del laburista Tony Blair, il tasso di disoccupazione sia basso. Come risaputo però il metodo di rilevamento utilizzato in Inghilterra non è comparabile con quello usato in Italia. In Inghilterra, dove prevalemente vigono il lavoro in affitto e contratti a tempo determinato. Basta che un soggetto lavora un mese durante l’anno e risulta tra gli occupati.

Come dice il “rottamatore” e aspirante premier Matteo Renzi del Partito Democratico, al pari di altri neoliberal del centrosinistra, l’articolo 18 non deve essere un tabù ma la sua abolizione andrebbe necessariamente inserita in un progetto che riguarderebbe la riforma complessiva del mondo del lavoro, con la predisposizione di un sistema di ammortizzatori sociali che attualmente mancano (a carico dell’INPS? ma non si voleva ridurre la spesa pubblica?).

Ma nella pratica cosa comporterebbe l’adozione di queste misure?
Ad esempio, un lavoratore che ha maturato 20 o 30 anni di lavoro con conseguente aumento della retribuzione derivante da anzianità di servizio, potrebbe ritrovarsi ad essere licenziato perché l’azienda ha la necessità di ristrutturarsi e quindi, di ridurre i costi. Al posto del dipendente “anziano” che ha una retribuzione di 1800/2000 euro netti al mese, ne assume uno “giovane”, al costo di 1000/1200 euro netti al mese. E quali prospettive ha il lavoratore “anziano”? Viene accompagnato con salario minimo garantito fino alla pensione? Con quali risorse lo stato potrebbe sobbarcarsi questo costo? In aggiunta con il traguardo della pensionabilità aumentato a 40 anni di contribuzione per la pensione di anzianità e a 67 anni di età per la pensione di vecchiaia? Oppure dovrà accettare un nuovo lavoro e, avendo perso l’anzianità di servizio, mettersi in competizione con chi guadagna 1000/1200 euro al mese?. In ogni caso, se uno ha ancora un mutuo da pagare e/o dei figli da mantenere, sarebbe un dramma. Considerato che già adesso salari e stipendi in Italia sono tra i più bassi d’Europa, e che chi lavora come operaio, impiegato o insegnante, già adesso fa fatica ad arrivare a fine mese. E la prospettiva per il giovane neoassunto? Quando comincerà ad avere una anzianità di servizio alta sarà licenziato anche lui a sua volta.
Inoltre il dipendente sarebbe assoggettato al datore di lavoro. Ad esempio: timore di iscriversi ad un sindacato, o di rivendicare i propri diritti, di far rispettare alcune norme di sicurezza, ecc., sapendo che ciò potrebbe costargli il posto di lavoro.

Se le ditte non assumono e se non c’è crescita economica, questo non è da imputare all’esistenza dell’articolo 18, questa è una menzogna, ma al calo dei consumi, dovuto a sua volta alla perdita del potere di acquisto dei ceti medi e bassi della popolazione. Questo proprio per le politiche liberiste adottate in questi anni sia da governi di centrodestra che di centrosinistra che hanno portato da una parte alla massimizzazione dei profitti e dall’altra al’impoverimento delle classi lavoratrici. Politiche liberiste che non coincidono esattamente con le liberalizzazioni e la difesa dai monopoli.
In ogni caso, queste ultime iniziative, non fanno che deprimere ancora di più il potere di acquisto dei lavoratori e la loro fiducia nel futuro ed a peggiorare la situazione economica invece che a migliorarla.

APPENDICE 1:

Cosa prevede l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori:
afferma che il licenziamento è valido se avviene per giusta causa o giustificato motivo.
Qual è una giusta causa?
Sono, ad esempio, le violenze o le minacce nei confronti dei colleghi o dei superiori, il furto, il danneggiamento doloso degli impianti aziendali.
Qual è un giustificato motivo?
Possono essere i ritardi sistematici nel presentarsi al lavoro oppure la violazione del segreto d'ufficio.
Cosa può fare un lavoratore se ritiene di essere stato licenziato ingiustamente?
Può ricorre al giudice del lavoro (ma una modifica di questo governo ha reso possibile di concordare anche un arbitrato diverso da quello del giudice) il quale, verificato che il licenziamento è ingiustificato, impone al datore di lavoro di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, pagandogli inoltre una risarcimento finanziario (partendo da un minimo di 5 mensilità). Sempre che lavori in una ditta con più di 15 dipendenti.
Ma se il datore di lavoro non lo vuole più in azienda?
Può anche lasciarlo a casa, ma deve comunque corrispondergli lo stipendio.
E se fosse il lavoratore a non voler più tornare in azienda?
In questo caso può pattuire con il datore di lavoro un risarcimento finanziario fino a un massimo di 15 mensilità.
Se il lavoratore licenziato ingiustamente è impiegato in un'azienda che non ha più di 15 dipendenti?
In questo caso il giudice, verificato che il licenziamento è ingiustificato, il datore di lavoro può scegliere se riassumere il dipendente o corrispondergli un risarcimento finanziario fino a un massimo di 6 mensilità.
Differenza tra reintegrazione e riassunzione.
La differenza fra riassunzione e reintegrazione è che con la riassunzione il dipendente perde l'anzianità di servizio e i diritti acquisiti col precedente contratto.
Precisazioni su numero di dipendenti e applicabilità della reintegrazione.
la reintegra del lavoratore ingiustamente licenziato trova applicazione quando l'imprenditore abbia più di 60 dipendenti in complesso, comunque suddivisi in unità produttive autonome (quali sono filiali, negozi, officine, distillerie ecc.) oppure se una unità produttive ha più di 15 addetti, indipendentemente dal numero complessivo del numero dei dipendenti. Per fare un esempio, gode della tutela di reintegra il dipendente di una impresa che abbia, poniamo, 70 dipendenti, ancorché lavori ad es. in una filiale con soli 10 addetti, ma, per converso, ne gode ad es. il lavoratore adibito ad una unità produttiva con 30 addetti ancorché l'impresa ne abbia solo 50 o magari solo 30 perché composta di quella sola unità produttiva. Una impresa, infatti, può avere una sola unità produttiva come per lo più accade nell'industria o avere molte unità produttive sparse nel territorio, come accade spesso nel settore terziario (es. catena di negozi). Questo occorre notarlo per il settore privato.

Nel settore pubblico, invece, si ricava dall'art. 52 dpr n. 29/1993 la regola per cui ai dipendenti pubblici si applica sempre e soltanto la tutela di reintegra dell'art. 18, anche se essi lavorano ad es. in un piccolo comune o anche che abbia solo 9 o 10 occupati. Si consideri ora che queste regole sui campi di applicazione di tutela di reintegra (cioè reale) e della tutela risarcitoria (cioè monetaria) sono contenute nelle stesse norme che prevedono le due tutele e cioè l'art. 18 e l'art. 8 legge 604/1966 come modificata dall'art. 2 legge 108/1990.

APPENDICE 2:

Cosa prevede l’ARTICOLO 8: incluso nella manovra economica del governo, consente la deroga all’articolo 18 - Le intese sottoscritte a livello aziendale o territoriale possono derogare ai contratti ed alle leggi nazionali sul lavoro, incluso lo Statuto dei lavoratori, ed alle relative norme, comprese quelle sui licenziamenti. Tradotto in termini sostanziali, anche le aziende con più di 15 dipendenti potranno ricorrere più facilmente ai licenziamenti senza giusta causa - aggirando il divieto sancito dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - , potendo sfruttare misure di "indennizzo" alternative al reintegro del lavoratore, se questo potere sarà dato loro da un'intesa con i sindacati maggioritari in azienda.

L’emendamento approvato dalla Commissione bilancio del Senato. La "rivoluzione" è contenuta nell'emendamento di maggioranza all'articolo 8 della Manovra, approvato dalla Commissione bilancio del Senato. Il provvedimento passato in commissione stabilisce che, "fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro", le specifiche intese aziendali e territoriali "operano anche in deroga alle disposizioni di legge" ed alle "relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro". L'emendamento prevede, in aggiunta, che le intese valide saranno non solo quelle "sottoscritte a livello aziendale o territoriale da associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale" (come già prevedeva il testo della manovra), ma che anche le associazioni "territoriali" avranno la possibilità di realizzare specifiche intese "con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati" su temi come "le mansioni del lavoratore, i contratti a termine, l'orario di lavoro, le modalità di assunzione, le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro".

Le materie escluse - Restano escluse dalla contrattazione aziendale alcune materie e norme generali a tutela di diritti e interessi superiori. Così non si potranno fare accordi locali su temi quali "il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento".

Il potere dei sindacati "locali" - L'emendamento approvato prevede che anche i sindacati percentualmente più rappresentativi a livello territoriale possano sottoscrivere accordi con le aziende. la modifica all'articolo 8 del decreto stabilisce infatti che possono sottoscrivere le intese o le "associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale", ovvero le "loro rappresentanze sindacali operanti in aziende"; le intese, inoltre, come già previsto, avranno "efficacia per tutti i lavoratori, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alla presenze sindacali".

I commenti: Susanna Camusso, leader della Cgil - indicano la volontà di annullare il contratto collettivo nazionale di lavoro e di cancellare lo Statuto dei lavoratori, e non solo l'articolo 18, in violazione dell'articolo 39 della Costituzione e di tutti i principi di uguaglianza sul lavoro che la Costituzione stessa richiama".


"Dicevano che non si toccava l'articolo 18, invece ora è possibile e viene scritto espressamente. Tutto questo è inaccettabile", commenta Giovanni Legnini, senatore Pd. Con il sì dei sindacati, riassume Achille Passoni, senatore Pd, si potrà anche licenziare: si apre la strada per la "possibile cancellazione in un contratto aziendale dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; una pura follia giuridica e politica". "Il diritto del lavoro, con un balzo di dubbia costituzionalità, torna indietro di almeno sessant'anni - diceStefano Fassina, responsabile Economia del Pd - le modifiche che consentono a un sindacato senza rappresentanza nazionale di derogare alle leggi dello Stato o ai contratti nazionali sono in radicale contraddizione con l'accordo del 28 giugno raggiunto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria".

Antonio Di Pietro e Maurizio Zipponi dell’IDV, responsabile lavoro del partito - continua a sostenere che questa norma sul lavoro non c'entra nulla con il pareggio di bilancio, in quanto non ha ritorni di tipo economico. Il fatto di averla voluta rende esplicito l'odio con cui questo governo si rivolge al mondo del lavoro pubblico e privato, mentre difende con le unghie e con i denti tutti i privilegi di chi mai ha pagato.

Il ministro Sacconi - "Le modifiche all'articolo 8 introdotte dalla Commissione bilancio contengono utilissimi elementi per la più certa interpretazione delle rilevanti novità previste dalla manovra relativamente alla capacità dei contratti aziendali e territoriali - afferma il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi - i soggetti abilitati a firmarli sono quelli comparativamente più rappresentativi e le loro rsa o rsu secondo quanto dispongono leggi e accordi interconfederali, compreso quello recente del giugno. Viene così accolta la richiesta espressa da Cisl e Uil a che fossero certamente evitati accordi 'pirata' con soggetti di comodo o senza rappresentatività".

(parte relativa all’articolo 8 e successivi commenti, estrapolati da un articolo sul sito di Repubblica del 04 settembre 2011).

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